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I nostri racconti

La classe Prima Triennale ha lavorato alla stesura di racconti a tema libero insieme all’insegnante di Lettere. Alcune di noi hanno scelto trame romantiche, altre hanno optato per storie gialle piene di brivido, altre ancora hanno preferito la fantascienza… Infine Mascia si è dedicata alla realizzazione di un pdf sfogliabile utilizzando Flipsnack. Ecco qualche pagina:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Clicca qui per leggere il pdf online e lasciaci un commento. Qual è il tuo racconto preferito?

La creazione di un personaggio

Le alunne della classe Prima Triennale si sono esercitate a creare un personaggio a partire da una lista di aggettivi ed espressioni utili per descrivere. Leggi alcuni esempi!

LA RAGAZZA DELLA FERMATA

di Elizabeth

ll suo sguardo era stanco. Dopotutto erano le sette del mattino… Era lì come ogni giorno, alla fermata, e guardava il vuoto con i suoi occhi chiari e grandi. I suoi lineamenti erano regolari, ma l’armonia del viso era interrotta dal naso lievemente adunco. Faceva freddo e lei tremava delicatamente, mentre la sua pelle chiara e secca diventava livida.
Mi misi vicino a lei, per guardarla meglio. I miei occhi si soffermarono sui suoi lunghi capelli neri. Avrei desiderato toccarli.
A un tratto voltò la testa e i nostri sguardi si incrociarono, mi fece un lieve sorriso con le sue labbra sottili.
Arrivò l’autobus, il suo corpo esile e delicato cominciò a muoversi, tolse le cuffie, il suo sguardo mutò, da stanco si trasformò in attento e si mise a cercare un posto dove sedere.
L’autobus ripartì e già speravo che fosse il giorno dopo per rivederla.

MARTA

di Elena

Un giorno Marta si alzò con il suo solito malumore e con la sua tipica goffaggine. Quel giorno non trascorse sereno. Andò in camera per vestirsi, ma non trovò niente che le stesse bene a causa della sua altezza eccessiva, che in passato le aveva causato diversi momenti di inadeguatezza. Nonostante questo, prese le prime cose che trovò e scese in spiaggia. Appena arrivata, si mise il costume e andò a fare il bagno. Dopo poco, tornò con le lacrime agli occhi a causa di un dolore al braccio. A guardare quegli occhi mi si congelava il cuore, ma mi facevano anche tenerezza, grandi e di un azzurro molto intenso. Aspettò qualche minuto e andò in ospedale per farsi controllare il braccio, che nel frattempo si era gonfiato. Quella sera partì con i suoi capelli lunghi e biondi ancora bagnati, il naso a patata rosso come le gote. Prima di andarsene mi salutò tristemente con un delicato sorriso. Dopo quel giorno non la vidi più, ma conservai quell’immagine nel mio cuore.

 

LA RAGAZZA DEL MARE

Di Gaia M.

Era l’estate della mia prima media quando la vidi quel giorno a Portovenere. Tramite conoscenze comuni la incontrai, alta, pelle chiara. Aveva uno sguardo luminoso e vivace, con quegli occhi verde smeraldo che ti ipnotizzavano .

Aveva un sorriso a 32 denti, con labbra rosee.

Pensai subito quanto fosse bella e che sarei andata d’accordo con lei, infatti fu così; aveva un carattere forte e deciso, ti avrebbe dato il mondo senza aver chiesto niente in cambio, era ostinata ma allo stesso tempo insicura, era un vero e proprio caos.
Mi ricordo di un giorno in cui andammo al mare e la vidi spenta, aveva lo sguardo fisso nel vuoto, non parlava e non aveva alcun tipo di espressione in viso, sembrava persa. Ricordo che a vederla così mi si strinse il cuore.
Cercavo in tutti i modi di tirarla su, mi spensi un po’ anch’io perché è sempre stata un esempio per me.
Da quattro anni a questa parte è una delle mie più care amiche, ringrazio quel giorno perché senza di lei sarebbe tutto diverso.

UNA PERSONA BELLISSIMA

di Gaia C.

Mio nonno era davvero una persona bellissima, anzi è una persona bellissima perché secondo me anche da lassù continua ad aiutare tutti, compresa me, perché lui è il mio angelo .
Io amo tutti i miei nonni, ma lui è diverso, si è ammalato presto di alzheimer, quando io ero molto piccola.
Dopo qualche anno è rimasto infermo a letto, anche se lui non parlava io gli raccontavo sempre tutto.
I miei genitori tuttora mi continuano a parlare di lui e di quello che faceva da giovane.
Aveva la pelle olivastra, lo sguardo luminoso, robusto, gentile, forte e altruista.
Era appassionato di musica, faceva concerti dove cantava e suonava, era davvero bravo. Ricordo che a scuola quando mi chiedevano chi era il mio cantante preferito io rispondevo mio nonno.
Proprio l’altra sera mio papà mi ha raccontato che un giorno mio nonno era al mare e a un tratto una ragazza stava annegando. Mio nonno si è subito buttato in mare e l’ha salvata.
Due anni fa ero a cena a casa di mia nonna, dopo mezz’oretta mi stavo preparando per andare a casa. Come sempre sono andata in camera di mio nonno per salutarlo e mi sono accorta che respirava male e ho subito chiesto a mio papà se potevo fermarmi a dormire lì, ma lui per farmi stare tranquilla mi disse: “Sarà solo un semplice male alla gola”. Andiamo a casa, vado a dormire, mi sveglio di scatto alle cinque dopo aver
sentito chiudere la porta e ho subito capito che era successo qualcosa, infatti aveva
chiamato mia nonna dicendo che era peggiorato.
Al pomeriggio arrivò il dottore e ci disse che lui poteva andare avanti così, a lottare contro la morte anche per mesi perché aveva il cuore forte. Verso le sette di sera mia nonna uscì dalla stanza, lui chiuse gli occhi e si lasciò andare.

Giallo, thriller, noir… I nostri racconti

Dopo aver letto in classe alcuni brani tratti da celebri libri gialli e noir, in Prima Triennale abbiamo provato a scrivere un racconto!

 

DELITTO A 190 METRI DI ALTEZZA

di Rita

Era una serata tranquilla, l’agente Smith e il suo collega Adam decisero di andare a cena fuori e partecipare all’inaugurazione di un nuovo ristorante.

Il proprietario era il signor Keller, un ricco imprenditore miliardario; era diventato molto noto grazie alla catena di ristoranti che aveva aperto in tutto il mondo.

Alle ore 20:00 il Signor Smith, il collega Adam e sua figlia Adele, si recarono al grattacielo più famoso di Tokyo, dove si svolgeva l’inaugurazione, una magnifica opera architettonica alta 190 m.

Il Signor Smith è americano. Si era trasferito a Tokyo 5 anni fa con la moglie, ma la signora Smith è sparita da 3 anni; di lei non si è mai saputo più nulla, mentre invece il signor Adam è divorziato dalla moglie, e nel fine settimana ha sua figlia Adele con sé. Adele è una studentessa del 4º anno, e non ha mai dato nessun tipo di problema ai genitori.

Quella sera tutti erano vestiti in modo molto elegante, il signor Keller era una persona molto apprezzata a Tokyo…

Alle 21:00 ebbe inizio un piccolo aperitivo, e il Signor Keller fece un discorso accompagnato da un brindisi.

Alle 22:00 l’assistente, nonché braccio destro del signor Keller, Fugiwara, fece accomodare tutti i presenti per poter brindare anche lui all’amico.

E dopo aver versato due bicchieri, uno per lui e un altro per Keller, disse:

“Questo brindisi lo faccio per te, amico mio, in nome di tanti altri giorni come questo.”

Tra un applauso e un altro si spensero le luci, e dopo pochi secondi di totale buio si riaccesero.

Appena si fece di nuovo luce, apparve una tragica visione:  il corpo del signor Keller era disteso a terra con un pugnale fra le scapole.

Il panico regnava sovrano e solo dopo l’arrivo della polizia e degli elicotteri, tornò un po’ di calma.

Tante pattuglie sorvegliavano il palazzo, nessuno poteva entrare o uscire, e gli elicotteri sorvolavano su tutta la zona.

Erano le 00:00, la polizia era arrivata alle 22:45, e i dubbi erano tanti.

Nessuno poteva sapere se l’assassino fosse scappato oppure no, il mistero aumentava ogni minuto che passava.

L’investigatore Smith e il suo collega Adam cercavano di capire qualcosa di quel tragico accaduto.

La bellissima figlia di Adam prese sonno su un divano poco vicino all’angolo bar, e Smith decise di interrogare alcune persone.

Nessuno di loro aveva a che fare con il signor Keller, pare che egli non avesse nessun nemico a Tokyo, eppure quella sera era stato assassinato…

Così Smith decise di interrogare l’assistente della vittima e disse:

“Signor Fugiwara, lei era il braccio destro del signor Keller, sa se avesse qualche nemico qui a Tokyo?”

Fugiwara con voce tremolante rispose: “No, ispettore, non che io sappia..”

L’assistente Adam alzandosi dal divano disse:

“Eppure l’hanno ucciso… Sarà una lunga notte.”

Alle ore 01:00 vennero mandate via molte persone già interrogate, ognuna di loro conosceva il signor Keller per essere una persona molto famosa e di animo buono, ma nessuna di loro aveva mai parlato con lui.

Quella stessa sera la polizia fece un’analisi sul coltello, ma non venne fuori nulla.

L’ispettore Smith diede ordine ad Adam di fare un’indagine sul signor Fugiwara perché sembrava un individuo sospetto… Molto sospetto.

Alle ore 03:00 stava ancora andando via gente, e poi accadde un fatto.

Il signor Fugiwara era sparito. L’ispettore Smith tramite la radio della polizia esclamò: “A tutte le unità di terra, controllate ogni uscita, il signor Fugiwara, il braccio destro del signor Keller, è sparito.”

All’improvviso venne avvistato da un cane della polizia: Fugiwara si era intrufolato in un passaggio segreto della cucina, in questo modo sarebbe uscito inosservato.

Nel frattempo, Adam, porta all’ispettore Smith ciò che ha trovato sul signor Keller.

“Ispettore! È urgente! A quanto pare la vittima era rimasta orfana di madre e padre ed aveva ereditato la fabbrica di famiglia. Però era uno chef, e per questo ha aperto tantissimi ristoranti in giro per il mondo.”

L’investigatore Smith rispose: “Be’, ecco spiegato perché era miliardario, ma adesso parlami di Fugiwara.”

Adam riprese parola e disse: “E’ questo il punto, il signor Fugiwara era il braccio destro del padre del signor Keller! Fu messo alle strette senza poter agire in nessun modo, perché il signor Imar Keller si prese la parte del signor Fugiwara.

Da allora sono passati 30 anni, e per 30 anni il signor Keller è cresciuto con Fugiwara.”

Alla fine del discorso, Fugiwara fu portato dall’ispettore.

Smith iniziò a fare domande al presunto assassino. Chiese: “Va bene, signor Fugiwara, adesso mi dica, perché l’ha ucciso?”

Il presunto assassino rispose: “L’ho fatto per la mia famiglia! Suo padre era mio socio in affari più di 30 anni fa. Avevamo il 50% entrambi, ma per via delle sue grandi conoscenze e per la sua grandissima  sete di potere, mi fece fuori.

Ebbe di diritto il mio 50%, cioè la parte che mi spettava, ed io con una moglie e un figlio rimasi per strada.”

L’ispettore Smith ribatté e rispose: “E così per 30 anni ha badato ad un piccolo orfano miliardario di 10 anni senza aver nessun interesse per la sua ricchezza e i suoi beni… Gli avete fatto da tutore; avete fatto di tutto per fargli accumulare il doppio di quello che Keller già possedeva, e poi l’avete ucciso.

Non avendo nessun familiare, sarebbero passate tutte le sue ricchezze e tutti i suoi beni nelle vostre mani dalla sera alla mattina, visto che siete voi il suo braccio destro, nonché complice in ogni sua mossa.”

Adam, con un tono di voce molto sicuro , disse: “Direi che il caso è chiuso, signor Fugiwara, lei è in arresto, portatelo via.”

L’ispettore, rivolgendosi al suo braccio destro, disse: “Guarda l’orario Adam, sono le 5, la notte è volata.”

Adam rispose: ”E’ vero signore, è stata una notte molto movimentata e piena di colpi di scena.”

L’ispettore disse: “Già amico mio, il mondo è sempre pieno di sorprese.”

E così il signor Fugiwara venne arrestato, e ovviamente non ebbe nulla, tutti i beni del signor Keller andarono a case di beneficenza… a persone che ne avevano davvero bisogno.

 

     Notte di terrore a Milano

di Valentina

Michelle è una ragazza solare, dolce e gentile. Si è trasferita da poco a Milano con i genitori e il fratello maggiore Mirko.

Era la mattina del 5 maggio, e come tutte le mattine, Michelle si era alzata dal letto per andare a scuola.

Davanti al cancello del liceo, incontrò la sua migliore amica Beatrice, che appena la vide le saltò in collo e cominciò a cantare “tanti auguri a te…”, mettendola in imbarazzo davanti a tutta la scuola.

Poco dopo si sentì toccare la spalla e si voltò, vide Alessandro, il suo ragazzo, che in mano aveva un mazzo di rose rosse e  una lettera. Al suo sguardo iniziò a sorridere e divenne tutta rossa.

Dopo scuola andò a casa e si preparò per andare a ballare con Beatrice, Alessandro e suo fratello Mirko. Qualche ora dopo entrarono dentro la discoteca e ballarono, cantarono fino a perdere la concezione del tempo. Michelle si allontanò dal suo gruppo per qualche minuto e successe l’impossibile…

I ragazzi non vedendola si preoccuparono, per di più non rispondeva al telefono. La cercarono per tutta la città e non la trovarono, fino a quando un urlo straziante richiamò la loro attenzione… Si voltarono e videro una signora che scoppiò in lacrime alla vista del corpo senza vita  di una ragazza così giovane. Mirko riconobbe la sorella… rimase lì a guardarla attonito,  senza dire niente, dentro i suoi occhi c’era il vuoto, non sapeva cosa pensare, era come se il mondo non avesse avuto più un senso, come se lui si fosse spento insieme a sua sorella. Gli amici rimasero sbigottiti e iniziarono a piangere.

La signora, dopo essersi ripresa, chiamò la polizia e raccontò l’accaduto. Dopo 10 minuti arrivò l’ispettore Johnson e guardò con desolazione la scena del crimine.

Si avvicinò a Mirko e gli chiese: “Quanti anni aveva… tua… sorella?”  Senza distogliere lo sguardo dal corpo rispose: “Oggi era il suo sedicesimo compleanno… era elettrizzata all’idea di passare una serata con noi… e be’, non è finita nel modo in cui ci aspettavamo.”  L’ispettore gli fece l’ultima domanda: “Dov’eri quando è morta tua sorella?”

Lo guardò negli occhi e rispose: “Eravamo in discoteca,  lei disse che si sarebbe allontanata per andare in bagno… Dopo non l’ho più vista”

Johnson capì che la scena del crimine era stata manomessa… La ragazza era stata uccisa nel bagno e per non far rinvenire tracce, l’assassino aveva trascinato il corpo due isolati oltre il luogo del delitto.

La sera, l’ispettore Jhonson, mentre era a casa a rilassarsi, leggeva il giornale e gli cadde l’occhio su quello che gli parve un indizio molto importante: Marco Malaspina, un ragazzo con problemi psichici,  era scappato dal manicomio, e girava per la città ammazzando le persone. L’ispettore scattò in piedi e andò alla centrale di polizia per fare ulteriori ricerche.

Il giorno dopo fece sapere la notizia alla famiglia della vittima e promise loro  che lo avrebbe trovato e arrestato. L’ispettore andò in giro per la città alla ricerca di questo tristemente celebre killer, ormai su tutti i telegiornali.

Dopo aver girato in mezzo a tanti quartieri, lo vide e di corsa prese la pistola e gliela  puntò alla fronte fino a quando, tutto fiero di se stesso, urlò: “In ginocchio! Mani dietro la testa!”

Dopo l’arresto di Marco Malaspina, non si ebbero più sue notizie.

Il manicomio di  Pennhurst

di Nicole

Martedì 23 novembre 1908 

Era un giorno molto strano a  SPRING CITY. Ero una nuova arrivata in questa piccola cittadina, tutti mi guardavano sospettosamente come se fossi un’intrusa. Ricevetti una chiamata dall’ispettore GEORGE GOMEZ,  mi  disse che c’era un nuovo caso urgente e stimolante. Avrei dovuto investigare sulla  signorina  ELISABETH LOPEZ. Mi occupai del caso ogni giorno da quel giorno.  Trovai un documento  molto vecchio, risaliva al 1900 e c’era scritto che la signorina Lopez era una donna astuta e molto pericolosa, con seri problemi psichici. Aveva ucciso il marito,  SEBASTIAN RULLI, con  5 colpi alla testa e una ferita da arma da fuoco al cuore, ma quello che non riuscivo a capire era dove si trovasse adesso questa donna, ero nella città giusta? Mi feci  molte domande. Presi il telefono e chiamai GEORGE NEW,  il sindaco della  cittadina,  gli chiesi:  “Ha mai notato qualcosa di strano  negli ultimi giorni?  Conosce una certa ELISABETH GOMEZ ? Rispose:  “Sì, ho sentito parlare di questa donna dalla signorina  LINDA BROWN,  la direttrice  del terribile manicomio di PENNHURST. In questi ultimi anni ha ucciso ben 30 persone. Se vuole andare a visitarlo, si trova a 40 minuti da SPRING CITY”.

 

Mercoledì  24 novembre, 1908

Mi alzai in fretta e presi il primo treno che mi portasse al manicomio di PENNHURST, per investigare su ELISABETH LOPEZ.

40 minuti dopo…

…Una volta arrivata mi ritrovai in una zona sperduta piena di insetti e soprattutto… c’era una puzza incredibile. Camminai per 15 minuti  fino ad arrivare alla porta  principale del manicomio, appena aprii la porta c’era un assembramento di persone, sembrava una giungla. Domandai a una infermiera dove potessi  trovare la signorina LINDA BROWN. Mi accompagnò fino ad arrivare dalla signorina LINDA. Percorremmo il lungo corridoio e su ogni porta c’erano antiche tracce di sangue. Tutto ciò era molto sospetto. Presi appunti su tutte le cose bizzarre che vedevo   nei corridoi. Arrivammo nel corridoio numero 45. L’infermiera mi disse: “Cammini fino in fondo  e giri a sinistra e  poi a destra e troverà una porta nera. Lì troverà la direttrice. Prima di entrare, suoni alla porta, arrivederci”.  Bussai e mi accolse la  direttrice, seduta su una poltrona di pelle nera. Mi guardava  sospettosamente e avevo  molta paura. Mi disse: “Si sieda, signorina, come si chiama?”  “Mi chiamo ANGELIQUE BOLLER, sono un’investigatrice. Sono venuta a risolvere una caso che è rimasto insoluto per molti anni…. “

“A cosa le servo io, ANGELIQUE BOLLER?”

“So che lei ha conosciuto ELISABETH LOPEZ, la grandissima criminale di  SPRING CITY, scomparsa da 8 anni. Ho bisogno che lei mi dica tutto su questa donna”.   “Ascolti molto bene, le dirò tutto,  ascolti attentamente e prenda appunti…”

ELISABETH LOPEZ  è mia sorella, la polizia ci cercava  e un tempo la nostra vita era piena di problemi. Ci nascondemmo in  Colombia  e uccidemmo più di 50 persone. Lo abbiamo fatto per denaro e per la droga. Quando abbiamo trovato ostacoli, abbiamo fatto fuori i nemici. Ricordo che ELISABETH andò in  PERU  per un incarico. Lì incontrò un modello, SEBASTIAN RULLI, era un uomo meraviglioso, ma lui non sapeva nulla della sua vita. Lei voleva avere figlie, una famiglia, ma  con la vita che faceva non poteva  rischiare. Passati 5 anni, mi mandò una foto di due belle bambine, erano bellissime e dolci, io non potevo vederle perché ero nascosta.

Passarono dei mesi e suo marito scoprì la vita che aveva mia sorella e che in verità non era una donna con un passato rispettabile.  Lui decise di andarsene. Mia sorella  prese la pistola e lo uccise, scappò con le bambine e non seppi niente di lei.  Ho saputo da poco che adesso si trova qui a SPRING CITY, ma non so dove. L’ho cercata ma niente, le bambine sono in grande pericolo con lei, quindi se vuole la posso aiutare. Mia sorella è molto pericolosa, siamo cresciute da sole perché nostra madre  ci abbandonò alla sorte. Mio padre morì  e dovevamo mantenerci, così cominciammo  con la droga. Io ora scontato la mia pena e dirigo questo manicomio.” Presi appunti e dissi a Linda che avrei fatto del mio meglio per trovarla .

Ultimo giorno del caso

Il caso doveva essere risolto entro oggi e ancora non  avevo trovato ELISABETH. Io  e la mia squadra  ci mettemmo a lavorare. Dopo alcuni importanti indizi trovammo la casa di ELISABETH. Le bambine erano sul terrazzo,  voleva  ucciderle e scappare.  Era completamente folle. Salì  sul terrazzo con Linda,  ELISABETH le disse: “SORELLA, ERAVAMO UNITE UN TEMPO, AVEVAMO TUTTI I SOLDI DEL MONDO E TU MI RIPAGHI  PORTANDO LA POLIZIA, NO, NO!” Le puntò la pistola alla testa e le sparò. Gettò le bambine dal terrazzo, ma non sapeva che lì sotto era stato disposto  un materasso. Le bambine si salvarono, ELISABETH scappò, non riuscii a prenderla, era così veloce e astuta che neanche il mio TEAM  riuscii a prenderla. Era scappata di nuovo e il caso di SABASTIAN RULLI  rimase senza che fosse fatta giustizia. Avvisammo tutti, perché ci contattassero in caso di informazioni.  Linda mi chiamò in ufficio e mi disse che sua sorella si trovava al manicomio… Uff, finalmente ora potrò risolvere il caso di SEBASTIAN RULLI .

Settembre 21, 1950

Passarono molti anni e il caso fu  risolto. Io ritornai a casa dalla mia famiglia. Smisi di essere investigatrice, era un lavoro troppo  pesante per me.  Sentii  bussare alla porta, aprii e mi ritrovai  davanti  ELISABETH LOPEZ. ”SONO RITORNATA. BANG BANG!“

FURONO LE ULTIME PAROLE DI ANGELIQUE.  LA SUA MORTE  FU ASPRA E CRUDELE .  IL 25 SETTEMBRE 1950 FU SEPPELLITA. LA SIGNORINA ELISABETH  LOPEZ E’ ANCORA IN QUESTO PAESE E UCCIDE PERSONE SENZA MOTIVO .

 

 

 

 

 

Premio letterario. And the winner is…!

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Quest’anno, la nostra insegnante di Lettere ha organizzato un concorso letterario che ha coinvolto tutta la scuola. La vincitrice è risultata Valentina Tedone di Terza triennale, con un bellissimo racconto che pubblichiamo qui di seguito.

LA NATURALE BELLEZZA DI OLIVIA

di Valentina Tedone

Nei pomeriggi freddi e ventosi di dicembre una giovane ragazza passa le sue giornate in giro nelle campagne, dove di solito incontra qualcuno con cui chiacchierare… L’aria è colma di strani presentimenti, la testa della giovane fanciulla esplode di confusione e tristezza, lei che sempre ammazza le giornate con birra e sigarette si ritrova ad essere fragile e sola in mezzo alla folla. Si può scorgere un’ansia pesante che lei con tutti gli sforzi nasconde e camuffa con timidi sorrisi accavallando le gambe. Finché non cala la sera, lei rimane lì ad aspettare qualcuno, qualcosa, qualcosa che quando non arriva le lascia una grande delusione, dopodiché si alza da quella fredda e alta panchina e si allontana verso casa.

Il giorno seguente, neanche scoccate le 6.00, Olivia, dopo aver accudito i capretti della mamma e i 2 giovani vitelli di papà, già è in giro in mezzo al verde degli alberi, al celeste del cielo ed al nero luminoso dei cavalli selvatici che incontra ogni giorno. Ma sempre quella triste aura la avvolge, come se avesse bisogno di una persona che la faccia sentire bella e felice come in mezzo ad una folla e non di una folla che la faccia sentire sola e inutile. Ed ecco la risposta: Olivia, dopo un lungo sospiro, tira fuori il suo antiquato telefono. Risponde un ragazzo che le butta in faccia una bugia, come tutti i giorni, dicendole che sarebbe venuto in ritardo a trovarla e non alle 2.30 come concordato. Lei fiduciosa non se la prende, metterebbe entrambe le mani sul fuoco sul fatto che lui sarebbe venuto, se pur in ritardo.

“D’accordo, tesoro, ti aspetto, se ci sono dei problemi però chiamami.”

Lui dopo aver acconsentito sparisce, e lei si addentra negli amati boschi fino a una delle sue fidate panchine, apre una birra, accende una sigaretta e si concede un po’ di relax.

Il panorama è mozzafiato lì. Una sera buia decide di trascinare la panchina lassù, è stanca di passeggiare a valle in mezzo ai pochi occhi lunghi dei vicini di casa e vuole godersi la sua privacy sotto le stelle e lontano da tutto e tutti. Quel posto è come un santuario per lei, poiché è una piccola area pianeggiante, situata sopra un’alta collina, coperta da molti alberi grossi e sempreverdi da tutti i lati, tranne dal lato che porta a valle, dove si vede anche il mare. Arrivare in questo santuario richiede molto ingegno, poiché il sentiero è stato creato e camuffato da lei stessa appositamente per non farci arrivare nessuno. Il sentiero è impercettibile, sembra un qualunque punto del bosco. Da piccola Olivia amava collezionare oggetti, qualsiasi tipo di oggetto che le piaceva lo portava lassù, lo metteva in questo quadrilatero di pietre e mattoni, ovvero i resti di un rudere ormai decomposto da acqua e vento e nascosto dagli stanchi rami delle querce. Ogni tanto andava riguardare quegli oggetti, come se ognuno di loro avesse una storia importante. Perché conservare braccialettini, ciondoli, soprammobili e ogni altro oggetto lassù, in un posto cosi esposto e sconosciuto, perché semplicemente non tenerli dentro un portagioie in casa? Nonostante il suo carattere forte e curioso, il suo viso dolce ma deciso, il suo cuore leggero ma triste, Olivia si è sempre sentita sola, per questo raccoglie i momenti più belli della sua vita all’interno di quel portagioie dentro quel vecchio rudere, insieme a bigliettini che parlano di lei. Forse Olivia è sempre stata sedotta dal fatto che qualcuno avrebbe potuto trovare il suo posto speciale; che nel presente o nel futuro qualcuno avrebbe potuto scoprire il suo portagioie, trovare i suoi ricordi e i suoi bigliettini e avrebbe potuto chiedersi “chi mai sarà stata questa ragazza?”, “che persona mai sarà” o “che persona mai è stata?” “Era curiosa o era noiosa, era sorridente o cupa, era bella o era brutta?” Dopo aver finito la birra, Olivia scrive un altro biglietto con il suo nome e la data.

Scoraggiata, chiama il suo ragazzo, che non si degna di rispondere, così decide di perdere tempo andando alla ricerca di animali graziosi e sfuggenti da accarezzare prima che calino le tenebre nei boschi.

Miaà, miaà, si ode leggero e debole sull’orecchio della fanciulla, che immediatamente si ferma, si volta, cammina in tondo alla ricerca della direzione di quel fragile suono. Avvicinandosi sempre più a un dirupo, scorge delle macchie bianche e marroni nel verde scuro del bosco, quasi immobili, che miagolano e si stringono tra di loro. Olivia esce correndo dal nascondiglio, diretta a valle per prendere della paglia e una coperta di lana. I genitori la salutano gioiosi, un po’ perplessi e curiosi per la sua fretta ma non hanno neanche il tempo di guardarla nel viso che lei sta già sparendo sulla collina, intenta a salvare quei piccoli scriccioli. Si precipita di corsa e con il fiatone sopra quel tortuoso dirupo: i cuccioli sono ancora tutti insieme e soli. Comincia a calarsi con attenzione giù per il crepaccio, profondo non meno di 3 metri, ma scivola su un cespuglio e cade vicino ai cuccioli che, terrorizzati, si raggomitolano tra loro e si nascondono tra le piante. Ancora sdraiata sul terreno e con la schiena indolenzita, Olivia sottovoce si rivolge ai cuccioli:

“Dolci creature innocenti! Siete tutti umidi e freddi, e posso scorgere le vostre piccole e sottili costole e le vostre ancora morbide scapole. Vi farete portare al sicuro da me? Vi fidate di questa sbadata e sconosciuta umana? Con delicatezza riesce a mettere tutti e 4 i cucciolini affamati nello zaino e si affretta a tornare su al nascondiglio per avvolgerli con paglia e lana, dopodiché corre a casa per mostrarli alla mamma, che ama i gatti.

“Olivia, tesoro, dove sei scappata così di corsa prima?”

Appoggia lo zaino sul tavolo sorridendo e va giù nella stalla a prendere un po’ di latte, torna in casa e trova la mamma con le mani nello zaino e le lacrime agli occhi:

“Sono così piccoli, morbidi e indifesi! Tesoro, dove li hai presi?”

“Li ho trovati da soli nel bosco, nascosti sul fondo di un piccolo dirupo. Tieni, dà loro questo latte fresco con un contagocce, io vado a mettere gli agnellini insieme, così portiamo i gattini al sicuro in stalla al calduccio!”

Dopo aver messo i cuccioli al caldo nella stalla e averli accuditi, torna su al rifugio e aggiorna il bigliettino precedente scrivendo del suo dolce ritrovamento. Poi resta lì sperando che la mamma dei piccoli si presenti, ma neppure dopo 2 ore vede qualcosa. Mentre torna a casa, riceve una chiamata dal suo ragazzo. Guarda per qualche secondo il telefono squillare, poi butta giù e decide che nessuno la merita, non perché sia perfetta o la migliore, ma perché nessuno l’avrebbe mai capita, nessuno l’avrebbe mai fatta felice veramente. Da quel giorno Olivia inizia a visitare il suo rifugio tutti i giorni aspettando la mamma dei piccoli, perché qualcosa le dice che è in giro a cercarli preoccupata. Nell’attesa dipinge e colora i resti delle mura del suo rifugio, e appende disegni e ciondoli nelle fessure tra i mattoni, mentre Kendra, Masha e Molosso crescono gioiosi, sani, giocosi e con solidi artigli.

La fanciulla decide di scrivere un ultimo biglietto: Molti scelgono di vedere la bruttezza in questo mondo, io scelgo di vederne la bellezza. Forse un giorno lo saprà, forse un giorno saprà che ho trovato il suo rifugio, forse saprà che potevamo diventare amici, forse saprà che l’ho inseguita un sacco di volte e ho celato le mie orme dietro i boschi, o forse, molto più probabile, non saprà mai niente di questo, neanche che era una ragazza speciale e diversa ….

Già, forse non lo saprà mai.

Diario di Marcus

 

Un nuovo caso per Giulia

di Pastorini Giulia

 

Mi ritrovai ancora una volta sulla mia poltrona turchese sorseggiando una tazza di thè al limone, osservando attentamente fuori dalla finestra i fiocchi di neve che cadevano sopra la mia macchina nera e che creavano un interessante contrasto. Me ne stavo vicino al camino, al caldo sotto una coperta di lana color tiffany. A un tratto la mia gattina Serafina attirò la mia attenzione giocando con il filo del tappeto, che appunto si era sfilato. Giusto poco dopo aver visto quella scena, il telefono squillò, così mi dovetti alzare a malincuore, spostai la coda di Serafina. Non volevo sgridarla, dato che la vedevo impegnata a cercare di togliere quel filo dal tappeto. Mi avviai nel corridoio verso il telefono che non smetteva più di squillare, pensai dentro di me a chi poteva essere. Arrivai finalmente al mobiletto dove era appoggiato il telefono e alzai la cornetta.

Dalla voce sembrava una persona che aveva appena visto un fantasma, era agitata, non si sentivano bene le sue parole, ma capii che si trattava di qualcosa di grave. Cercai di fargli qualche domanda per capire chi fosse e dove abitasse ma fu tutto inutile.

Buttai giù la cornetta e in fretta e furia chiamai la centrale di polizia dove lavoravo, detti loro il numero di telefono della persona che mi aveva chiamato, e in meno di un minuto riuscirono a rintracciarlo.

Andai in camera, mi misi la divisa più velocemente possibile, salutai la mia gattina, e nonostante la neve riuscii a far partire la macchina e andare in fretta alla centrale. Arrivai a destinazione con la camicia mezza abbottonata e una scarpa senza i lacci, che si erano sfilati rimanendo chiusi nella portiera della macchina, ma nonostante questo disordine ero pronto. Andai dagli altri poliziotti, e mi dettero tutte le informazioni che erano riusciti a raccogliere. Si trattava di una certa Lady Victoria trovata morta. Si sospettava che fosse un omicidio. La vittima era stata trovata in cucina con ben 50 coltellate in tutto il corpo e con una corda legata attorno il collo. La persona che la aveva trovata in queste condizioni era appunto la persona che mi aveva chiamato, ovvero il suo maggiordomo, Louis Tomlinson, che poco dopo aver telefonato era svenuto. Presi la macchina insieme al mio caro amico e anche bravissimo poliziotto Justin Brown e andammo sulla scena del crimine, una ricca casa di campagna.

Scendemmo dalla macchina dopo aver discusso a lungo su chi potesse essere stato a fare una cosa così atroce. Con un bel respiro entrammo e la visione fu scioccante… la crudeltà. La povera Lady Victoria in terra in una pozza di sangue. Non aveva più le unghie delle mani, perché aveva lottato per la sua vita. C’era sangue da tutte le parti, anche sul soffitto e le unghie furono ritrovate persino nella fessura di un cassetto. Lady Victoria aveva una mano quasi staccata dalle coltellate.

Vennero i medici dell’obitorio, le chiusero gli occhi verdi, che avevano perso la loro lucentezza, e la coprirono con un telo bianco, ma non servì a molto dato che poco dopo il telo divenne rosso, intriso da tutto quel sangue che ancora fuoriusciva.

Con tanta pazienza e voglia di fare ci mettemmo subito ad investigare.

Nel frattempo riuscirono a risvegliare il maggiordomo Louis. Dopo essersi ripreso andò ad avvisare tutti i servitori e i familiari tra cui il marito Howard Malik, la cameriera Taylor Shaw, il giardiniere Michael Horan, la sorella della vittima Eleonor Mendez e la migliore amica della vittima, Kayla Zedda.

Rimasero scioccate anche loro dalla notizia e chiesero giustizia ai poliziotti. La polizia e tutti gli investigatori cominciarono a fare domande alle persone che conoscevano di più la vittima. Cominciarono da Louis Tomlison, il maggiordomo.

Non disse molto, solo che l’aveva trovata morta in cucina e che poco dopo era svenuto. I poliziotti non pensarono che fosse stato lui per due semplici motivi: il primo era il suo gran cuore, per il quale era noto a tutti, il secondo era che non avrebbe mai ucciso in quella maniera efferata. Howard Malik, il marito, il maggiore sospettato, tirò subito su la testa senza neanche una lacrima. Il viso era completamente asciutto come se non avesse mai pianto. La cameriera Taylor Shaw rimase immobile, non batté nemmeno un ciglio, ma grazie all’intervento di una psichiatra riuscì a dire che il marito e Lady Victoria litigavano spesso per sciocchezze. Il giardiniere Michael Horan quel giorno non c’era, e a dire la verità mancava da una settimana circa, perché aveva problemi in famiglia. La sorella della vittima Eleonor Mendez, sapeva cosa stesse passando la sorella col marito, e disse con certezza che era a conoscenza di chi fosse stato… ma rimase zitta.

La migliore amica Kayla Zedda, aveva anche lei un’idea di chi potesse essere stato ma rimase zitta, e si mise vicino a Eleonor a confabulare.

Il poliziotto, dopo aver sentito tutte le versioni dei familiari e testimoni, incominciò a elaborare chi potesse essere stato, anche se era piuttosto evidente. Il poliziotto decise di aspettare l’analisi delle impronte digitali e di tutte le altre tracce del dna. Pochi giorni dopo arrivò il risultato e in effetti il dna non era solo quello della povera Lady Victoria, ma anche di un’altra persona sconosciuta, che non era della famiglia.

Cominciarono le ricerche per trovare l’assassino, e venne fuori il nome di un certo Liam Pain, molto conosciuto nella zona per la sua cattiva fama, già stato in carcere parecchie volte. Era stato rilasciato con cauzione da circa una settimana, ma era stata una pessima idea… cercarono di rintracciarlo: Liam Pain, età 43 anni, corporatura robusta, capelli neri, occhi sul marroncino. Lo ritrovarono in un angolo in una strada chiusa per lavori in corso ormai da mesi. Lo trovarono in uno stato pietoso: il colore della pelle era giallastro e gli occhi erano rossi con tutti i capillari scoppiati, sulla maglietta si potevano notare tracce di sangue. L’uomo era incosciente e a malapena si reggeva in piedi, notammo che aveva i pantaloni strappati e sporchi di sangue.

Chiamarono un’ambulanza e poco dopo cercarono di curarlo al meglio, anche se ormai si poteva fare poco.

I poliziotti vedendo che Liam stava per morire cercarono di passare al sodo e farlo parlare. Le poche parole che disse furono: “ L’ho uccisa io, la amavo troppo, e non volevo che continuasse la relazione con il marito, l’ho uccisa così staremo per sempre insieme su nel cielo”.

Chiuse gli occhi e se ne andò verso il cielo anche lui.

Il caso fu chiuso… un altro poliziotto disse: “Perché allora tutte le persone della casa avevano incolpato il marito?”

Lo stesso poliziotto rispose: “Paura, solo per paura di morire anche loro, sapevano chi era stato ma avevano paura. Il marito soffriva in silenzio, sapeva che prima o poi sarebbe finita così.”

Il caso fu chiuso con tanta sofferenza e tanta voglia che tutto questo non fosse mai successo. Cercammo di incoraggiare i familiari, e esausti tornammo a casa, contenti di aver risolto il caso.

Lady Victoria rimarrà sempre nel cuore di tutti.

Ritornai a casa e l’unica cosa che feci fu tornare dalla mia gattina Serafina, raccogliere i lacci delle scarpe nella portiera e sedermi su una sedia per raccontare il caso alla mia famiglia.